Tutto il territorio del Triangolo Lariano e, in particolare, la sua fascia più occidentale,
è caratterizzato dall’abbondante presenza dei cosiddetti “massi erratici”o“trovanti”.
Nel corso del Quaternario, in corrispondenza di periodi climatici più freddi, a più riprese
la zona del Triangolo Lariano è stata interessata da grandi colate glaciali che scendevano
dalle montagne alpine fino ai margini della Pianura Padana. Durante queste avanzate,
i ghiacciai esercitavano un’intensa azione di erosione e di escavazione sulle rocce sottostanti
e trasportavano verso sud le enormi quantità di detriti rocciosi derivati da tali
processi. Quando il clima ritornava ad essere più mite, il ghiaccio fondeva, abbandonando
questi materiali rocciosi a formare i cosiddetti depositi morenici, caratterizzati da
una mescolanza caotica di massi, ghiaie, sabbie e materiali ancora più fini, di natura
varia, che oggi troviamo sparsi in molte zone del territorio.
Gli “erratici” o “trovanti” sono blocchi isolati, di notevole dimensioni, anch’essi trasportati
e depositati dai ghiacciai; nella zona lariana sono costituiti prevalentemente da
ghiandone (una granodiorite così chiamata per la presenza di grossi cristalli di feldspato
potassico di colore bianco-rosato, proveniente dalla Val Masino), gneiss (rocce a tessitura
orientata formate da quarzo,miche e feldspati chiari) o serpentiniti (di colore verde
scuro, così chiamate perché il loro aspetto ricorda quello della pelle dei serpenti, provenienti
dalla Valchiavenna e dalla Val Malenco), quindi da rocce diverse da quelle carbonatiche
su cui poggiano.
Fu il naturalista Antonio Stoppani nel secolo XIX a intuirne per primo l’origine, che espose
in un suo scritto “
... sul dorso dei colli, sui fianchi dei monti, sui margini dei laghi... dappertutto...
vedrete o solitari, o in gruppi fantastici, o allineati in modo mostruoso.... pezzi
enormi di graniti, di porfidi, di serpentini, di rocce alpine di ogni genere evidentemente divelti
dai monti lontani portati più giù, a centinaia di miglia di distanza e posti a giacere così
rudi e informi, ove possono meglio stupirci...
”.
Le dimensioni dei trovanti, la loro“diversità”rispetto alle rocce su cui poggiano, hanno
incuriosito e attratto l’uomo fin dall’antichità. Numerose epigrafi romane e paleocristiane
sono incise su are, cippi
o stele ricavate dai trovanti.
I massi erratici sono stati
spesso distrutti ed usati come
materiali da costruzione o per
ricavarne elementi ornamentali
di case e chiese, nonché
manufatti vari quali macine,
abbeveratoi, fontane, cippi
stradali.
Alcuni tra i massi erratici più notevoli sono stati
dichiarati “Monumenti Naturali” dalla Regione
Lombardia nel 1984, con l’intento di tutelarne
l’integrità; in particolare, nella zona di Torno e
Blevio, si possono ricordare la
Pietra Pendula e
la
Pietra Nairola o Nariöla. La prima, in Comune
di Torno, è un masso di ghiandone proveniente
dalla Val Masino, poggiato su uno
stretto basamento di roccia calcarea locale,
molto probabilmente assottigliato ad opera dell’uomo
in modo da accentuare la caratteristica
forma di fungo. La seconda, in Comune di Blevio,
si presenta come una grande tavola piatta, suborizzontale, sempre di ghiandone
sporgente dal pendio della montagna. Su questo masso, oltre ad alcune coppelle, sono
presenti altre incisioni preistoriche o protostoriche, in particolare una somigliante ad
un’impronta di piede e un canaletto che corre come una gronda attorno alla parte sommitale
del masso, risalenti con tutta probabilità all’Età del Bronzo e del Ferro (I millennio
a. C.), e presumibilmente legate a credenze religiose e rituali. Su questa pietra
esistono due leggende diverse. Secondo la prima, più antica, sulla Pietra Nariola stava
il diavolo; di fronte a lui, sopra un altromasso (ora andato distrutto), un suo compagno,
ed insieme si divertivano a giocare a palla, rimandandosela l’un l’altro. La seconda versione,
di ispirazione cristiana, forse nata per esorcizzare i trascorsi demoniaci del masso,
giustificherebbe invece la posizione sporgente del masso con un intervento miracoloso
della Vergine, che lo avrebbe trattenuto con il suo mantello.
Particolarmente interessanti sono anche i
massi avelli, misteriose tombe a forma di
vasca scavate nei massi erratici e orientate generalmente in direzione est-ovest. Queste
sepolture,molto probabilmente destinate a personaggi di alto rango, costituiscono
una singolarità della zona che va da Como al Canton Ticino, dalla Brianza alla Valtellina.
Di problematica datazione, i massi avelli vengono attribuiti dagli ultimi studi all’arco
temporale tra la fine del V secolo e il termine del VI secolo d.C., tra la caduta
dell’Impero Romano d’Occidente (476) e l’occupazione da parte dei Longobardi del territorio
lariano, dopo la resa dei Bizantini attestati nelle fortificazioni dell’Isola Comacina
(588). Nella zona di Torno si ha una grande concentrazione di questi particolari massi:
l’Avello del
Maas, l’Avello di Rasina, l’Avello de i Piazz, l’Avello di Negrenza e l’Avello
delle Cascine di Negrenza. Alcune Associazioni del paese hanno posizionato un’apposita
segnaletica per facilitare la visita dei reperti e ne assicurano la manutenzione.
La Comunità Montana Triangolo Lariano, in collaborazione con la Società Archeologica
Comense, ha pubblicato una guida dettagliata al percorso delle pietre e dei trovanti
nella zona di Torno, Faggeto e Pognana Lario.
COME ARRIVARE
Da
Torno si sale alla località Caraniso
(296 m; possibilità di parcheggio),
dove si può vedere il masso
avello detto del “
Maas”. Da qui parte
una mulattiera che sale con tratti a
gradinata fino alle case di
Montepiatto
(610 m; ore 1,05); una breve
deviazione iniziale, prima della cappella
di S. Giuseppe porta alla
località
Rasina
, dove è presente un altro
masso avello. Da Montepiatto si può
agevolmente raggiungere la
Pietra
Pendula
(610 m; ore 0,15), mentre
percorrendo il tracciato che porta a
Brunate, si perviene prima al cosiddetto
Sasso del Lupo (500 m; ore
0,30), poi alla
Pietra Nairola (580
m; ore 1,10 da Montepiatto), raggiungibile
anche con un sentiero che
dalla frazione Cazzanore di Blevio
(234m) sale ai Monti di Sorto (ore 1).
Sempre da Montepiatto si può scendere
alla frazione di Piazzaga (550m;
ore 0,35) e quindi ancora a Torno. Con
una deviazione da questo itinerario
(ore 0,30), si possono visitare anche i
massi avelli delle Cascine di Negrenza,
di Negrenza e de“
i Piazz”.
GRADO DI DIFFICOLTÀ
Elementare
ESCURSIONI NELLA ZONA
La Comunità Montana Triangolo Lariano ha recentemente recuperato
l’antico tracciato che collegava fino agli inizi del secolo XX
Como a Bellagio (la “
Strada Regia”), con la consulenza storica e tecnica della Società Archeologica
Comense, predisponendo anche una pratica cartina escursionistica. Dal Belvedere
di Brunate, alle frazioni di Blevio, dalle chiese di Torno ai pittoreschi borghi montani di Faggeto,
dai Monti di Careno all’orrido di Nesso,
dai boschi di Lezzeno alle ville di Bellagio: circa
35 chilometri di strada pedonale permettono
di visitare antichi nuclei storici, cascine, chiese,
cappelline, sempre con una vista mozzafiato
sul primo bacino del lago di Como.
DA VEDERE NEI DINTORNI
Torno e le sue Chiese
Una bella pagina di Herman Hesse descrive
l’emozione suscitata nel visitatore dal paese
di Torno, definendola “
un amore a prima
vista
”. Il fascino che aveva ammaliato il
grande scrittore tedesco si respira ancora
nei vicoli e nelle piazzette dell’antico borgo,
nel quale l’eccellenza dei monumenti è fedele
specchio dell’importanza raggiunta
nel Medioevo da Torno, soprattutto nella lavorazione
e nel commercio della lana. Da
segnalare le due chiese di S. Tecla e di S. Giovanni. La parrocchiale di
S. Tecla, a lago, è di origine
probabilmente romanica,ma rimaneggiata a fine del XV secolo. È facilmente riconoscibile
dal rosone e dall’elegante portale gotici; all’interno conserva affreschi del pittore locale Bartolomeo
De Benzi. La
Chiesa di S. Giovanni, più a monte, di antichissima origine (sarebbe già
esistita nel secolo XI), restaurata anch’essa nel secolo XV, è vigilata da un possente campanile
romanico; nell’elegante facciata spicca il prezioso portale marmoreo rinascimentale, attribuito
a collaboratori dei fratelli Rodari, cui si devono le sculture del Duomo di Como. L’interno è ricco
di dipinti e sculture; ma il vero tesoro di questa chiesa è la reliquia del
Sacro Chiodo, portata
secondo la tradizione dalla Terrasanta nel 1099 (insieme ai resti dei SS. Innocenti martiri) da un
vescovo tedesco di ritorno dalla prima Crociata. Si tramanda infatti che il presule fu costretto a
lasciare le reliquie a Torno da una serie di strani eventi atmosferici avversi, manifestatisi ripetutamente
quando aveva tentato di riprendere il viaggio via lago verso la Germania.
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